Le vere “frane” siamo noi

Cos’è la tecnologia? La domanda delle domande, una cosa che è quasi la definizione di “uomo” per certi versi, la sua espressione in molti casi. Oggi ha un sinonimo di “elettronico” o di “futuribile”. Perchè ne parlo se l’articolo tratta di frane? Sembra una cosa scorrelata, ma non lo è, come capirete meglio alla fine con il video di un TEDx del CNR di non molto tempo fa sull’argomento. Nel mentre vi do il punto di vista del perchè tecnologia e frane sono in correlazione secondo noi, o meglio perchè non lo sono abbastanza.
Partiamo da qualcosa di certo, ovvero che oggi moltissime persone, persino nelle zone più rurali del paese, hanno uno smartphone. Poi che una quantità enorme di smanettoni, laureandi/laureati/dottorandi/ricercatori/professori in ambiti tecnico-scientifici hanno a casa, o nei laboratori, board quali: Arduino, RaspberryPi, etc…essenzialmente dei “mini-pc” con la possibilità di essere programmati per compiti specifici comandando tramite dei “pin” relè, motori, altre schede, essere collegate a sensori, e che hanno dietro una comunità, un supporto ed una diffusione che definirei epocale.
Ma non credo che questo vi illumini di più su questa correlazione (soprattutto queste premesse ci torneranno utili piano piano).
Il fatto centrale è questo: mancano i dati sulle condizioni metereologiche dettagliate in aree specifiche. Li dove, per una serie di motivi, che vedremo anche in parte nell’articolo, vi sono dei rischi seri di eventi quali le frane.
Come si monitora il territorio a basso costo nel 2018? La ricerca di base ha infatti satelliti, grandi e medie stazioni meteo ed una bassissima base legata ai sensori o segnalazioni di gruppi di persone.
Beh, ad esempio, prendendo spunto dalle campagne nate grazie al crowdfunding in paesi del terzo mondo (un esempio qui), dove con board varie come quelle sovracitate, che appunto sono minicomputer et affini, si creano oggetti plug and play per portare, ad esempio, internet a “tutti”, o le usano progetti quali stazioni di monitoraggio capillari di territori con bracconieri o con animali a rischio o in via di estinzione. Grazie al basso costo dell’hardware e con un mondo in cui la programmazione ad ogni livello è sempre più presente in qualsiasi attività, ergo esistono sempre più maker, programmatori, smanettoni, laureati a spasso, etc…che sanno programmare e pure bene, questo è sempre più fattibile, o comunque non impossibile come dieci anni fa.
Poi, qui in Italia ad esempio abbiamo già progetti quali NINUX , comunità distribuita nata per avere una rete parallela ad internet via wifi (la motivazione politica, tecnologica et affini è ben dettagliata sul sito), con antenne su tutta la penisola. Essendo che spesso si tirano su pali molto alti per trasmettere (fino anche a 12m o più sopra ai terrazzi condominiali dei palazzi, nel caso non si usino altre strutture sempre molto alte), sugli stessi pali si potrebbe montare una stazione completa di monitoraggio e magari un pannello solare che alimenta sia l’antenna WiFi che la staizone, il tutto collegato ad una batteria idonea e comunque alla rete elettrica per ulteriore sicurezza di un funzionamento costante. Insomma una rete distribuita che fa tutto, porta la rete dati e fonia (volendo, via voip), e monitora tutti i parametri: barometrici, temperatura, umidità, qualità dell’aria, velocità del vento, quantità di pioggia caduta, radiazione, etc etc…
Insomma stazioni che oggi grazie alla miniaturizzazione dei sensori ed alla loro bassissima richiesta di energia per il funzionamento, sarebbero anche ad impatto ambientale quasi zero, tra l’altro con molteplici soluzioni per l’alimentazione.

Dov’è che si trova il vero problema ed ostacolo alla predizione delle frane, così come di molti eventi? Si trova nella potenza di calcolo per elaborare queste informazioni, che sarebbero a quel punto una mole enorme. Solitamente questo ha un costo energetico nei grandi centri di elaborazioni dati che in qualche modo supera di molto il problema del trovare le macchine per far calcolo. Difatti, ad esempio, moltissime università dismettono server da calcolo in ottime condizioni perchè non più adatti alle richieste della ricerca di frontiera che giustamente vuole risultati in tempi sempre più stringenti. Questi server dismessi sono spesso di altissime prestazioni, consumi anche accettabili e sopratutto praticamente nuovi, o sicuramente atti benissimo in massa a fare un centro di elaborazioni dati di modeste, se non discrete, dimensioni. Ma il consumo in termini energetici, le strutture adeguate ad ospitare i server, e il personale addetto alla manutenzione richiederebbero un budget di alto livello, che probabilmente, in maniera non lungimirante, non verrebbe mai stanziato (eppure i costi anche solo di riparazione strade, edifici, macchinari, bestiame, e soprattutto di vite umane, è enorme).
Ma vi è una soluzione che è stata per prima vagliata e per tanti anni sfruttata per prima (e poi a seguire da altri) dal progetto SETI della NASA, che è incaricato di cercare segni, segnali o altro di vita non terrestre.
Si tratta di “Grid-compunting“.

Prima di addentrarci ancora nel discorso ricapitoliamo, nella nostra idea avremmo una mappatura capillare delle condizioni totali dal terreno di ogni microarea del’Italia in base a tutti i parametri rilevanti, ricavati attraverso vere e proprie stazioni meteo, oltre ad altri acquisiti tramite geofoni e sensori per umidità del terreno et affini. Un’altra idea non nostra sicuramente, ma si ricollega al perchè citavamo all’inizio gli smartphone, è che si possono dedicare delle risorse di piattaforme già esistenti per fare un’altra parte di questo lavoro, ovvero la raccolta dei dati soggettivi post evento o di allarme evento (tramite un canale twitter per esempio oppure con semplice pulsante rosso su un’app dedicata che indichi che vi è stata una frana e magari di che tipo). Questo permetterebbe di dare un riscontro diretto mettendo in correlazione la tua stazione meteo indipendente con la tua segnalazione post-evento, e verificando così anche se l’algoritmo avesse predetto con i dati delle stazioni la frana su quel tipo di territorio, permettendo quindi di aggiustare il modello, che andrebbe certamente poi arricchito con le variazioni quali disboscamenti, costruzioni, scavi, etc…comunicati per tenerlo aggiornato.
Ed inoltre tutta questa massa di informazioni potrebbe essere pre-elaborata in un primo momento, in locale, direttamente dalla scheda che gestisce la stazione, per correlare i dati dei vari sensori secondo algoritmi specifici, quindi fargli “mangiare e digerire” i dati per renderli più manipolabili e coerenti, magari compressi o configurati in un determinato formato aperto, per poi usare una grid computazionale che citavamo prima. Tipo, o proprio, come fa chi si appoggia tramite appunto gridrepublic ed utilizzando il software BOINC sviluppato dall’università di Berkeley, per far divenire il propio pc parte di un supercalcolatore distribuito, una grid appunto, che proprio per la sua distribuzione geografica e spesso per la differenza dei tipi di hardware è categorizzata come diversa da un cluster classico e quasi più simile ad uno di tipo beowulf. Il software è configurabile e per computare problemi di varia natura sfrutta tutta la cpu e la gpu non utilizzata, ergo anche il 100% se non state facendo nulla (e’ tuttavia possibile riservargli solo una certa percentuale delle risorse). Il progetto SETI sopracitato lo utilizzava per elaborare segnali dallo spazio per determinare se fossero di origine intelligente o solo fenomeni cosmici. I modelli predittivi, sopratutto se devono computare entro tempi brevi, necessitano appunto di potenze elevate, spesso costose e non disponibili, ergo questa potebbe essere una soluzione.
Sul perchè farlo il video che vedrete alla fine parla un poco da solo, il professore non è magari per i più molto carismatico, ma ammetto che a me piace perchè è uno di quelli onesti intellettualmente, un ricercatore per passione, ma non per questo un uomo di “spettacolo”: non è spigliato, ma ci mette i dati e la faccia, spero vi aprirà un altro tassello sul fatto che il territorio va assolutamente curato e controllato. A concludere vorrei anche dire che da una parte l’abbandono di molti terreni, spesso preposti alla coltivazioni da più di mille anni, e l’edificazione sfrenata in altre aree a rischio dall’altra parte, non hanno fatto altro che indebolire morfologicamente i territori, rendendoli più deboli e soggetti a frane in aree che invece le avrebbero subite magari solo a causa di grandi disastri idrogeologici o terremoti et affini. Così come togliere letteralmente le radici, ragnatela fittissima e rete di sicurezza di ogni teritorio, attraverso un disboscamento selvaggio per avere altri terreni agricoli quando ne esistono ovunque di abbandonati senza eredi e che i comuni, con spesso le mani legate dalla burocrazia, non possono facilmente riassegnare. Su questo vi è stata una bellissima puntata di presadiretta di questo mese.

Quindi tutto è realmente collegato, troppo: ad esempio, il chilometro zero sul cibo incentiva la suddetta agricoltura o cura generale del territorio evitando l’impoverimento dei terreni, rendendoli monitorati, meno inquinati, permettendo agli alberi necessari di crescere più forti e di reggere meglio i terreni; il minore inquinamento permette inoltre di avere aria più pulita e di conseguenza meno problemi e malattire respiratorie. Inoltre spesso non è neanche necessario l’utilizzo di ogm non naturali (ovvero solo eugenetica fatta dal contadino stesso o da processi iniziati mille duemila anni fa o più sulla selezione del grano per citare uno dei grandi protagonisti non della coltivazione nostrana, ma delle importazioni). Il chilometro zero inoltre crea contatto fra le persone e le radici di molti, il cibo locale è cultura.
Questo era un “quadretto” puerile e corto del perchè frane, territorio, salute, cultura, e come visto sopra anche la tecnologia e l’uso condiviso delle proprie risorse di calcolo, sono temi talmente fittamente collegati fra loro e a tanti altri. Non può più bastare guardare solo un aspetto per prevenire le frane, le esondazioni, per salvare territorio, persone e futuro e dare a tuti noi per primi delle vite degne.

E banalmente avere meno frane comporta, oltre a un minor costo in vite umane, un risparmi di miliardi euro di danni ogni anno. Miliardi che (forse ingenuamente) si potrebbero reinvestire sul territorio.

Ecco il video.

Zero